CONTRIBUTI CRITICI
La prima recensione
Grandi tele, dittici in qualche caso, che testimoniano il cammino graduale di Sandra Zeugna verso la conquista dello spazio. Una conquista che nasce dal desiderio di portare alla massima dilatazione pittorica ciò che negli anni passati si era già rilevata come un’intuizione attraverso espressioni di nuclei ridotti ed estremamente condensati. E, allo stesso tempo, il segnale di una maturazione che non è solo di carattere semantico ma anche di carattere formale. Una pittura, perché la sua è “vera” pittura, autonoma ed allo stesso tempo memore delle soluzioni linguistiche dell’espressionismo astratto e del postmoderno, che prende corpo nella tensione tra figura e frammentazione portata fino alle estreme conseguenze. Un’ambiguità che cattura l’attenzione e costringe alla riflessione. Sandra Zeugna è un’artista che pensa, anzi che medita, il che non è poco in un ambiente dove casualità ed istintualità contraddistinguono ormai quotidianamente un’attività pittorica banale quanto confusa ed inutile, del tutto autoreferente. La sua meditazione è rivolta ad uno dei grandi temi del mondo contemporaneo, alla disumanizzazione della vita sociale ed individuale. Nel centro del suo lavorare c’è la creatura umana, la lacerazione che la dilania emblematicamente, ermeticamente indicata dai lacerti anatomici più o meno evidenti. Al segno che si dilata in dinamiche linee di fuga si accompagna il colore enucleato in zone sulle ampie campiture a base tonale, o bitonale, che rappresentano lo spazio fisico e quello sociale. Su questi grandi spazi, a volte, insistono con fermezza inserti di un co!ore impastato con forza, dai toni incisivi, allusivi che aumentano l’effetto drammatico delle composizioni. E, con l’uomo, a soffrire, sono gli animali, la terra, il cielo, insomma tutta la natura. Un messaggio severo che si sforza di cogliere un immane scontro tra forze gigantesche, contrapposte: il bene, il male, la rassegnazione e la speranza. In questo senso la Zeugna si colloca decisamente nel prosieguo di un espressionismo che continua ad essere per molti validi, ed autentici, artisti il linguaggio più adatto a narrare le vicissitudini di un tempo inquieto ed inquietante come il nostro. Lontana da ogni compiacimento, agli antipodi di una pittura che ricerca facili ed appaganti successi, insensibile alle suggestioni effimere di moda che durano lo spazio di un mattino, questa pittrice triestina compie con coerenza un ulteriore passo in avanti.
Ogni giorno è una zolla che rimuove la terra, ma piantarvi il tuo seme che fatica superba!
L’intera opera della Zeugna si sviluppa nella opposta e duplice tensione e nella messa a punto di un impero dei segni e, al tempo stesso, nel loro simultaneo riassorbimento nell’immagine. La sua arte suscita nello spettatore uno stato di sorpresa sospesa, una modalità di percezione che svia da consolidate e confortevoli abitudini del guardare, ponendo il soggetto, piuttosto, in uno stato di vacillamento conoscitivo. Ogni suo quadro si apre su di una lingua sconosciuta che obbliga, per comprenderla, rifare i conti con le nostre nozioni di realtà. Innanzitutto, ogni sua superficie è un vasto frammento, un’alta condensazione, che non è pensiero o verità, bensì di toni, dunque di musica. La Zeugna, infatti, articola i suoi quadri attraverso timbri, nella sovranità delle sue dizioni. Artista dotata di una variegata molteplicità di facce, ovunque essa guardi, per dirla alla Brandi, comprende, riprende, imprende. La sua è una pittura, dicevamo, di dizioni ma anche di fatti, che tolgono alla luce un’origine di emittenza, una direzione. Tutto, in lei, resta sospeso in un fastoso pulviscolo luminoso. Pennellate larghe e sciabolate che civettano con gamme di colori che vanno dalla primavera all’autunno e s’irretiscono in profili secchi come lame. Insomma, luce inesistente ma insistente. Non v’è nulla nella Zeugna del dinamismo espressionista della pennellata: quest’ultimo, nel suo caso è una conseguenza non la causa. Trasformando il fondale della tela a schermo che lo rende trasparente come se la luce non fosse una base espressiva, bensì germe attivo e operante e nomade. Nel suo sobrio e pacato dinamismo ella concepisce spazi vuoti e pieni, con la spontaneità del colpo di pennello misticamente concesso e irripetibile, come quello della pittura Zen. Nulla di causale, dunque, bensì giustificato in se stesso, come gesto senza ritorno. A volte, come in una frase di Afro, l’intera tela viene avvolta da un respiro barocco, senza ricerca di effetti, però. Tutta la sua pittura si muove e fluttua in continue ricomposizioni di un caleidoscopio che ha raggiunto una piena e interna maturità. Ecco, tutto l’iter creativo di Sandra è basato, come in una tessitura bachiana, su una serie di variazioni che hanno come asse un unico tema che, di volta in volta, potremo definire contrazioni, lampi, disseminazioni, trame, tessuti. Ovviamente, sullo spettatore l’effetto è quello di essere risucchiato e parcellizzato, ma, in ogni caso, posto d’innanzi a opere lontane da ogni forma di volgarità. Ogni suo quadro offre, senza narcisismo, la domanda: sai riconoscermi? Ora, è fatto ovvio, nella pittura la vera autenticità non risiede nella sua assoluta originalità ma nello slancio di rifondere, scompigliare, e scegliere esperienze passate. Insomma nella pittura non si dà mai generazione spontanea. La Zeugna, in ogni sua opera manifesta la sua vocazione alla crisalide che riscoppia da se stessa come una farfalla sempre nuova, che svolazza dall’astratto al surreale, da una liquidità immediata alle suadenze di strutture che non accettano doppioni. Strutture anche pericolose le sue opere migliori che, come carte compresse e accartocciate, scolano colori che giocano con il giovane Mirò o con il naturalistico Utamaro del Metropolitan Museum of Art (penso all’anatra in immersione nello stagno). Strutture pericolose, perché creare una tavolozza di questa portata a volte, si corre il rischio di restare prigionieri nel bacino della tela e avere la sensazione di non poterne più uscite, Evento che non mi pare abbia mai preoccupato la pittrice, che ha la forza e la vitalità di riprendersi dalle sedimentazioni, così impedendo sempre l’appiattimento su una unica superficie e producendo un gioco intenso di antitesi a propria tutela. Nulla è accessorio in questa artista che si colloca in una sospensione panica del linguaggio, in una recitazione interiore che aspira quasi ad un silenzio mistico.
Il linguaggio informale
Fra le preziose annotazioni di Gillo Dorfles, critico attento e lucidissimo nell’analisi delle oscillazioni del gusto estetico, vi era un puntuale riferimento alla doppia possibilità espressiva della pittura, rispettivamente in ‘linguaggio logico’ e ‘linguaggio libero’. Una distinzione senz’altro condivisibile che, semplificando, stabilisce un dato di fatto inerente il concepimento di un’opera. Ovvero che la logica, intesa nel significato comune, è subordinata alla realtà oggettiva, al dato puramente visibile di una costruzione razionale. Viceversa, l’artista che si esprime liberamente, non sente obbligo alcuno verso nessun dogma o parametro tecnico prestabilito che non sia il confronto con se stesso, con un mondo interiore che non ha paragoni, specchio di una sommatoria di infinite ragioni e percezioni soggettive che, se vogliamo, potremmo ricondurre ad una logica ‘diversa’, non riconoscibile direttamente, e dunque astratta. Ed è proprio quest’ultima considerazione ad affermare il concetto di ‘informalità’, ovvero di arte svincolata dalla premeditazione formale. Tuttavia, questa scelta non esclude la natura progettuale del linguaggio libero, anzi. Sarebbe un errore non da poco ritenere la casualità compositiva la vera protagonista, escludendo così la partecipazione attiva dell’artista. Più verosimilmente, il linguaggio informale attinge a risorse che prescindono dal dato reale oggettivo e, quand’anche la realtà manifesta sia vagamente riferibile, essa non è il soggetto principale dell’indagine. Infatti, la dimensione del visibile è solo una piccola parte di una Realtà vera, ben più complessa di quanto i nostri sensi possono restituire attraverso le percezioni fisiche. La dimensione inconscia, ad esempio, è uno di quei territori ove l’informalità trova una fertile espansione. Molto spesso, se dietro una composizione non figurativa la nostra ragione non trova rassicurazioni con il logico, con il palese, è proprio all’Inconscio – inteso come ‘dimensione altra’ dell’Essere – che bisogna riferirsi per ricercare le recondite chiavi interpretative. Del resto, non è un mistero che l’Inconscio stesso sia strutturato con un codice, un proprio linguaggio che procede attraverso meccanismi di causa-effetto per nulla casuali. Il ‘discorso dell’Altro’, come sosteneva Jacques Lacan che, come tale, necessita di ponderata e fattiva attenzione in quanto portatore di verità spesso ignorate dal soggetto cosciente. Altre volte la pittura ‘libera’ traduce l’esperienza interiore dell’artista, la sua personalissima interpretazione del mondo sia nella dimensione fisica che metafisica. Per certi versi, la pittura anticonvenzionale, distante dall’interpretazione dettata dal criterio della pura visibilità con la lettura tradizionale dell’opera, può offrirci notevoli spunti d’indagine e molteplici chiavi di lettura. Ogni composizione d’arte – riconosciuta come tale – racconta molto, moltissimo di chi l’ha concepita e realizzata, e spesso non sono necessarie le relative spiegazioni dirette, tutt’altro. Lo sforzo dello svelare ad ogni costo costringe il fruitore (o l’esecutore stesso!) ad indossare la ‘maschera’ della sua personalità o del suo personaggio. I saggi cinesi sostenevano che le parole sovente nascondono le cose. Questo perché le parole contengono in sé un limite espressivo, sono comunque filtrate da una serie di infrastrutture culturali, sociali, educative, delle quali chiunque guardi è naturalmente permeato. L’opera invece no, è in quanto tale. Essa si autodetermina, parla da sé e di per sé, e non necessita di avvocati difensori o abili oratori che ne proclamino il valore o ne certifichino l’esistenza in vita. La lettura delle opere di Sandra Zeugna parte proprio da questo presupposto. Da un silenzio attivo che progressivamente si espande verso un significato incontrovertibile, diremmo naturale e necessario, dove convergono tutti i punti di un’indagine non solo artistica ma anche di una parte significativa dell’esistenza. Le parole, semmai richiamate a utile sostegno all’interpretazione, seguiranno. Ma seguiranno – quale corollario eventuale – dopo il necessario silenzio iniziale. D’altronde, l’arte autentica deve anzitutto colpire e coinvolgere uno stato di coscienza (ad esempio emozionale o mentale) al primo sguardo, come una folgore che illumina il cielo in una lunga notte, per procedere poi verso la ricerca delle chiavi interpretative.
La ragione del dubbio
La ragione umana guida l’esistenza dell’uomo e indica una direzione nell’incessante sforzo di colmare il senso di vuoto, di imponderabile, che la dimensione dell’infinito presenta come una verità cui è necessario confrontarsi. La ragione è il principio maschile della costruzione propositiva, è progetto che diverrà concretezza ma, per illimitato che possa apparire il suo raggio di azione e immaginazione, ad un certo punto essa si incaglia nei fondali profondi ed imprevedibili di quel Mistero che ci avvolge dalla nascita e da cui si squaderna la vita terrena. E’ a questo punto che affiora l’insidia del dubbio, dell’incertezza che può renderci instabili, insicuri e forse inadeguati. Del resto, anche l’Universo è sorto da un’apparente incertezza che noi abbiamo battezzato Caos… ma, in realtà, tutto stava procedendo secondo un disegno preciso, un ordine misterioso e naturale, frutto di una suprema Intelligenza. Dinanzi a noi può profilarsi l’abisso dell’angoscia, una condizione interiore che, se non indagata, ha il potere di stravolgere totalmente l’esistenza. Ma il senso di incertezza non è di per sé negativo o positivo. Ogni polarizzazione dettata dalla mente umana è solo frutto di un’interpretazione più o meno arbitraria. Perché non considerarla invece un’opportunità, una spinta non solo naturale ma anche neutrale con cui la Vita ci parla oppure richiama ad un’attenzione diversa? Ecco allora che, da un limite della ragione, i territori sconfinati dell’incertezza possono costituire la straordinaria occasione per rimettere in discussione il vincolo del razionale che, in qualche modo, ci costringe a correre sopra un gelido binario che non ammette deviazioni. Persino ogni grande religione o filosofia apre un dibattito con l’incerto ed il vuoto prima di affermarsi. E questo passaggio – quasi una sorta di enigmatico Limbo – è una delle evidenti connotazioni della pittura ricercata e personalissima di Sandra Zeugna, talento naturale che ha saputo coltivare con pazienza e meticoloso lavorio una capacità espressiva che è autentico dono. Per la Zeugna dipingere non è solo mostrare un qualcosa di sé, conquistare uno spazio e raffigurare un suo mondo dentro altri mondi interconnessi, ma significa anche intraprendere un viaggio meditativo costellato da silenzi e visioni, affermazioni cromatiche, forme ed espansioni grafiche, in una dimensione caratterizzata da ‘sospeso’ e ‘terreno’, dove evanescenti frammenti materici, talvolta simili a filamenti sottili, sembrano abbandonare il suolo per librarsi verso cieli assoluti dai colori metafisici. Ed è proprio su questo punto che la nostra attenzione si sofferma. Questo senso del volo, il gioco incredibile delle sospensioni, come se tutto dovesse prima essere e poi svaporare verso un incommensurabile infinito. Pur nella cristallizzazione dell’attimo che l’arte stessa consente, come fosse una fotografia dello Spirito, qui tutto appare transitorio, in un dinamismo aereo che è la cifra inconfondibile, lo stilema caratteristico di questa pittrice che rappresenta un privatissimo ‘sentire’ ben distante da quella riconoscibilità oggettiva e razionale citata in precedenza. Per la Zeugna la realtà del mondo, con i suoi simboli, esiste quale luogo dell’esperienza dell’Essere nel Divenire. Nei suoi intenti ella non vuole negare ciò che il suo sguardo le riporta per effetto della percezione sensoriale. Anche nel cammino interiore più profondo, il realismo così come il pragmatismo dell’esistenza non vanno comunque disconosciuti, se è vero che tutto si traduce nell’Unità che comprende una materia visibile (e simbolica) in cui l’invisibile stesso si rispecchia. Persino la Spiritualità – che sarebbe un errore confondere con una vuota teoresi fine a se stessa – ha come base di fondamento un senso pratico, fattivo, delle cose. In quest’ottica, l’esperienza della vita diviene sublimata in una pittura che ne condensa i significati e le esperienze acquisite. La Zeugna trova nella sua ricercata espressività il naturale sentiero per la comprensione non solo del mondo ma anche di se stessa. La realtà è dunque esperienza che si consuma nel quotidiano, ed è ammissibile la sua accettazione sia in ciò che noi interpretiamo, soggettivamente, come ‘bene’ che come ‘male’. L’energia si muove e si determina attraverso l’azione dei contrari. Nell’esistenza un polo richiama sempre l’altro, in un processo che non è lineare ma, semplicemente dialogico. Nulla si deve escludere, ma tutto comprendere, in una pacificazione degli opposti. E, proprio nella pittura della Zeugna, avviene l’alchimia di una ‘liberazione’ di intenti, intuizioni, premonizioni e visioni incantanti. La terra pare dialogare con il cielo, il segno grafico incisivo con la superficie vuota quasi alitata, in quell’aria meravigliosa che pare dipinta con tinte rosate, poi di pallido grigio e di timido azzurrino. L’intuizione irrompe nella pittura e si fa strada oltre il limite della ragione, oltre l’incertezza del fenomenico. Questa dimensione superiore si attiva quando il pensiero che pretende e reclama spiegazioni finalmente si tace. Sandra Zeugna vive con serena consapevolezza questo processo al punto da raffigurare scene esclusive ed irripetibili che sono frutto proprio del sentire, e dove ogni forma mantiene vaghi riferimenti col riconoscibile. Non sono appuntamenti col quotidiano, con lo scontato, con l’ovvio. Ogni dipinto è una finestra aperta che ci mostra qualcosa di intimo scaturito da un’azione liberatoria non premeditata. Ecco perché la Zeugna non si riferisce fedelmente alla realtà e non la rappresenta per come appare. Per lei sarebbe troppo riduttiva. La sua personalissima percezione vuol partire dall’immanenza del mondo ma, nel contempo, la vuol trascendere.
L'irrazionale come razionale non ancora conosciuto
Se per un attimo compiamo lo sforzo di distaccarci dal significato letterale delle parole e dal pesante fardello ch’esse contengono, potremmo definire questo slancio, forse, con un unico termine: religiosità. Termine che, naturalmente, va interpretato con un respiro più ampio del convenzionale. La religiosità si esprime in un delicato senso di appartenenza ad un qualcosa di imponderabile che potremmo chiamare ‘Tutto’, e che ogni essere umano avverte nel centro del Cuore. La fisica moderna ha cercato per decenni la formula di quell’Energia misteriosa che lega tutte le Cose, giungendo ai limiti di una possibile teoria. Ma a questo punto, proprio su questa soglia, la ragione nuovamente pare fermarsi. L’elemento irrazionale irrompe, dunque, nella pittura più coinvolgente della Zeugna. Nella prima fase della sua indagine, intense stratificazioni si stagliano in un suo personalissimo indistinto (inteso come dimensione interiore) quasi indecifrabile. Qui, non vi sono appigli, tutto appare volgersi verso un progressivo distacco, fra contrasti chiaroscurali di colore d’incomparabile fascino. Certo, facciamo fatica a seguire queste evanescenze. Non siamo mai abbastanza preparati all’imponderabile. La mente pretenziosa vuol trovare spiegazioni su ogni cosa. E, qualora non le trovi, molto spesso risolve il problema negando l’esistenza dell’invisibile, di ciò che non è decodificabile dalla Ratio. Invece, non solo i mistici ma persino diversi scienziati, ci hanno parlato della ‘tenebra luminosa’, della ‘materia oscura’ (di cui pare sia composto l’universo per il 90% della sua sostanza) e persino di una possibile ‘scienza dello spirito’. Che sia questo, allora l’irrazionale? Ovvero un razionale non ancora ben conosciuto? Ma, ad ostinarsi a voler guardare troppo in basso, si rischia di perdere la cognizione (e la comunione) della totalità. Questa pittura del fluire, sempre determinata e mai tremula nel suo percorso, lascia dei tracciati affatto casuali. Ed è straordinario constatare, in tale complessità formale e cromatica, un misterioso equilibrio di elementi, ognuno al suo posto, come se tutto fosse unito in un amalgama naturale. Quel dettaglio, quello spicchio distaccato… non potrebbero essere che in quel punto all’interno della composizione, nel momento in cui stiamo osservando. Ecco, la naturalezza. Non potremmo in alcun modo pensare che la Zeugna possa essere diversa da così. In questo suo privatissimo mondo c’è tutta la sua vita, quel senso tanto ricercato nel cammino terreno che un atteggiamento ‘cartesiano’ non potrebbe rivelare in tutta la sua complessità.
Verso la Luce: l’incontro con Zigaina
L’ultima Zeugna, quella della pittura ancor più fresca, ‘umida’ e vitale come rugiada, è caratterizzata dalla ricomposizione dei lacerti e, se vogliamo, del ritorno. Il ritorno nella sua laguna tanto amata, quella di Grado, nell’ampio semicerchio del Golfo. Tutto appare ancor più pacificato ed armonico. Essenza ed apparenza paiono dialogare nuovamente senza incongruenza alcuna. Fanno capolino i colori verdi, per lei tanto inconsueti, nelle sue varianti, dal malva al veronese, e il terra di Siena. Quel realismo di cui stentavamo a trovare traccia, qui semina indizi e dispensa riferimenti. Se prima tutto poteva apparire onirico e svaporante, adesso ci troviamo nel ‘qui e ora’, dentro quell’attimo che racchiude il segreto della vita terrena, finalmente libera dal peso del passato e dalle illusioni del futuro. Quel presente che si colloca oltre il tempo, e la cui piena conquista rende meravigliosamente liberi e vitali. E’ il periodo in cui accade un episodio fondante nella vita dell’artista. Un incontro. Auspicato per anni ma sempre rimandato come fosse un qualcosa di improbabile, forse impossibile da realizzarsi. Un incontro ineluttabile con una stella polare di un firmamento artistico contemporaneo, un caposcuola ed un uomo che ha visto passare accanto a sé la grande storia, oltre che dell’arte, anche del cinema e della letteratura: Giuseppe Zigaina. Sì, proprio Lui, storico collaboratore del grande Pasolini, nonché attore di riferimento nel suo ‘Decameron’. Doveva, anzi ‘voleva’ accadere questo momento, da diverso tempo. Spesso la vita agisce con dinamiche sue, forse per noi imperscrutabili, ma con un proprio disegno, una direzione. E’ come se qualcuno o qualcosa sapesse davvero ciò che è meglio per noi, aldilà delle nostre aspettative. Accadde il giorno del compleanno del maestro, per la precisione il suo ottantesimo. Lui guardò Sandra. Si riconobbero all’istante. Un abbraccio di luce, rare parole, tanti sguardi nel silenzio eloquente. Poi, la timidezza ed il riguardo di lei, fecero scorrere altri dieci anni. Si persero ma si ritrovarono. E fu il momento giusto, l’apice di una storia indimenticabile pregna di preziosi ed affettuosi consigli, più che ad un’allieva, ad una figlia. Il maestro aveva intuito una grande potenzialità, un talento che doveva essere coltivato con perseveranza. Le suggerisce di andare oltre ogni concetto o, peggio, preconcetto, e di non tener conto di alcun giudizio che non sia quello di se stessa. E forse neanche. Lui, che aveva frequentato figure quasi mitologiche come Pasolini e la Callas, sapeva bene cosa significasse procedere con coraggio nella vita a dispetto delle avversità. ‘Quello che sono è quello che eri e sei tu’, le dirà un giorno. Per Zigaina, questa pittrice poteva rappresentare, ora più che mai, la continuazione di una storia infinita, una narrazione meravigliosa di terra e di cielo, proprio in una fase in cui la sua stessa esistenza stava volgendo al termine per un processo biologico inevitabile. Quelle sospensioni dipinte dovevano continuare, così come quei tratti grafici affermativi, anzi definitivi. Quella maniera così anomala ed anticonvenzionale di rappresentare un mondo ‘altro’, invisibile ai sensi ma non allo sguardo dell’anima, doveva avere necessariamente un seguito, non doveva andare perduta nel dimenticatoio del tempo crudele. E così fu. Pensando all’amico Pasolini, in uno dei loro incontri in studio, le disse: ‘Scrivo di me perché farà del bene a me, ma anche a Lui’. Fu un implicito invito a proseguire, esattamente come aveva fatto Zigaina, con l’entusiasmo e un impegno sinceri. Analogamente, Sandra Zeugna dipingendo per sé farà del bene anche al maestro che ora ci ha lasciato. Ecco, dopo quelle parole scolpite in un pezzo di cielo, non si può davvero aggiungere altro…
MARIA PALLADINO
30 aprile 2019
L’esperienza pittorica di Sandra Zeugna muove da un grande amore per la figurazione, una rappresentazione della realtà che è originariamente innata passione e talento per il disegno – il quale diverrà in seguito segno potente – in un originario avvicinamento al reale, alla ricerca di quella struttura e di quella tensione emotiva e spirituale, espressiva, trattenuta in embrione nella manifestazione esteriore delle cose, anelito alla libertà dell’indagine, all’andare oltre.
La forma viene nel tempo percepita come una sorta di gabbia che dà voce soltanto ad una parte di ciò che esiste, mentre un’altra resta celata come per un falso pudore, nascosta dietro una maschera che è quella dei ruoli sociali, delle definizioni, delle categorie limitanti dei codici stessi e dei canoni, della raffigurazione come della scrittura: universi illimitatamente espandibili di simboli e segni che trattengono e imbrigliano nella materialità quella parte non materiale dell’esistenza cui urge di esplodere.
E questo avviene improvvisamente: subitanea deflagrazione intervenuta a modificare il precedente assetto degli elementi della composizione, ad un tratto gli oggetti appaiono vanificarsi, disgregarsi, frantumarsi in esplosioni improvvise e baluginanti alternanze di luci e ombre. Una necessità impellente di portare in superficie quanto prima nascosto e trattenuto, come a voler dare opportuna voce e identità ai sentimenti, corpo pittorico alle passioni.
E’ una pittura di emozioni, immediatamente percepibile quella di Sandra Zeugna e per questo avvincente forte impavida di procedere troppo innanzi tracciando oltremodo netto il confine fra la realtà e l’interiorità, rendendo palese e sensibile, quasi palpabile quest’ultima.
Risultano evidenti “agganci” geografici e atmosferici, in parte voluti, in parte sognati e comunque una compresenza di tangibilità concreta che sembra scontrarsi, ma che in realtà si fonde e si identifica con l’immaterialità, con quelle particelle psichiche che sono forse quantisticamente la effettiva connessione sussistente fra tutti gli enti del mondo, così come ce lo immaginiamo e così com’è in realtà proiezione onirica e unita verità plausibile.
La sostanza è nella comunicazione, alla radice di ogni arte la pittura di Sandra Zeugna realizza una comunicazione incisiva, efficace, che lascia la sua traccia nella nostra sfera emozionale perché ci avvicina ai comuni modi di sentire, al di là delle differenze, nelle somiglianze, nell’accogliere gli effetti di quanto sopravviene a noi dall’esterno.
Ciò che appare è compresenza di forze opposte, che si scontrano ma che persistono insieme nella necessaria impossibilità di scindersi effettivamente, il dissolversi più o meno repentino ed accidentale degli elementi che dissociano quanto prima unito.
Si arriva a chiedersi quanto pertenga davvero alla nostra comprensione il concetto di unione.
Ogni possibile suggestione desunta dal Surrealismo, dall’Astrazione Lirica, dall’Espressionismo Astratto o definizione informale risulta superata e mediata una una qualità visionaria che si nutre di conoscenza.
10 marzo 2024
La pittura di Sandra Zeugna si può configurare come una danza dell’anima che si svincola dai legacci di materia e forma, avanza con andamento cadenzato e costante per trascolorazioni e concentrazioni, in parte mediate e in parte libero flusso di coscienza che realizza il desiderato e sfuggente dialogo fra Essere e Sè. Alla base vi è una meditazione innata e un amore profondo per la natura che nasce nell’infanzia, nel trasmutare e trasfigurarsi mai sopito negli elementi naturali, che porta l’artista – in una sorta di mimesi spontanea che come un fascio di luce s’irradia dall’interno – a farsi tutt’uno con essi, in un immenso gesto di gratitudine espandentesi indefinito nella sua grandezza.
La pittrice intesse un dialogo muto con lo spazio con cui si confronta e che affronta arditamente, a tappe successive, per superare i limiti individuali nell’espressione e manifestazione di quanto dall’interno erompe. Immergersi in una sua tela è trovarsi circondati da un abbraccio cromatico discreto ed avvolgente, e che tuttavia insinua una sottile inquietudine: un incitamento a interrogarsi sul principio della vita e sulla compenetrazione essenziale di ogni realtà. L’intuizione istintiva a procedere oltre il conosciuto per investigare le ragioni e carpire i nessi, procede al di là dell’indagine sull’inconscio stesso, sulla facoltà della memoria e illuminazioni di recondite esperienze, per riallacciarsi alla qualità associativa dello spirito artistico, al suo ancestrale potere visionario, che connette esistenze passate al contingente. Se tali capacità sono inoltre associate al genere femminile, ne origina una possibilità creativa e una fascinazione visiva in grado di andare oltre ogni parametro e di coinvolgerci nell’intimo: siamo attratti e risucchiati all’interno delle sue pitture, in cui rinveniamo l’equilibrio che il discernimento della sua conoscenza e competenza grafica e cromatica comportano, nell’ottenimento di un’armonia. Questa sottende al movimento della mano la quale segue il ritmo ripetuto di una musica interiore che libera e insieme trattiene, similmente ad un’ inclinazione per cui il pensiero debba fare attenzione a non invadere il campo del messaggio, che giunge all’artista da più ampi e insondabili ambiti. La messa in discussione che deriva da tutto questo è spiazzante ed elettrizzante al contempo: in quei brani di identità vegetali, di corpi dilaniati, oppure semplicemente dissolti nel trascorrere delle epoche, nello svolgersi del tempo, suggeriti e riproposti quasi fossero lacerti, stralci di pitture antiche, ritrovamenti archeologici, possiamo riconoscere il senso di un imprescindibile legame fra tutto ciò che è innato e non prodotto dall’uomo, la percezione di una comune origine la quale dà vita poi al ciclo perpetuo di distruzione e rigenerazione nel mondo. Sostiamo vigili e quasi confortati da tali riflessioni, davanti alle superfici percorse da enigmatiche grafie, che attraversano, accompagnano ma non accorpano il colore. La pasta cromatica diluita in stesure più o meno ampie si addensa a tratti, come a voler concretizzare una visione improvvisa, un’illusione prospettica, seguendo un ideale filo conduttore che unifica Espressionismo Astratto, Spazialismo e figurazione post-moderna. La luce è quella che emerge dalle profondità recondite dell’Io, che arriva a sorprenderci nel momento della nascita, oppure allorquando un’epifania subitaneamente colpisce il nostro intelletto e frantuma l’architettura di idee e convincimenti da cui ognuno dei nostri universi personali e paralleli è composto. Possiamo individuare strutture tracciate dal disegno quali lampi, fratture, squarci su imperscrutabili dimensioni, terminazioni nervose, racemi, diramazioni radicanti, e comunque l’evidente intenzione di instaurare una comunicazione, silenziosa, empatica, come ogni autentica forma di comunicazione comporta. L’insegnamento che se ne evince è sicuramente di carattere ambientalista, di riconoscimento della nostra matrice e apprezzamento delle ragioni primarie che ci connettono al tutto, attestazione di umiltà necessaria per l’essere umano, nelle sue attuali pretese di prevaricazione, il bisogno di abbandonare la presunzione che i nostri parametri siano gli unici possibili nell’interpretazione del reale, che pur si configura una utile proiezione soggettiva, resa universale dalle comuni proprietà degli strumenti in nostro possesso per leggerla, scriverla e farne patrimonio condiviso. La caratteristica di lasciar libero l’osservatore di addentrarsi nel discorso pittorico, divenendo comprimario di un’ardito sovvertimento di valori produce in chi guarda la disposizione ad abbandonare i canoni del già noto, scompigliare i tratti riconoscibili delle cose per valutare come plausibili ulteriori soluzioni, riaggregando i segni visivi in insiemi che talora possono risultare arbitrari, ma che sorprendentemente nella maggioranza dei casi conducono ad un esito comune, lasciando evincere le somiglianze nelle differenze. L’opera di Sandra Zeugna non teme di includere la continuità: che siano esempi singoli o polittici, i suoi lavori si richiamano e rimandano l’un l’altro, in una traslitterazione dove la surrealtà diviene una delle plausibili chiavi di lettura: non esiste ispirazione fattuale, l’autrice si muove lasciandosi trasportare da una forza, un’energia pressoché medianica ma che prende le mosse da una profonda consapevolezza e consuetudine con i suoi mezzi, da una sincera e consolidata passione per questi, ricavandone sostanza per il suo corollario immaginifico e la sua poetica. Dinamismo centrifugo o centripeto, e comunque irradiantesi da nuclei espressivi anche multipli, in cui subitanee candide concrezioni, in contrappunto a campiture, stratificazioni, velature ricorrenti sovente nei toni del viola, celeste, grigio e delle terre, danno spesso luogo ad identificazioni, più o meno plastiche, veicoli trascendenti che abbracciano forme e idee evidentemente consolidate nell’inconscio comune e che ci accomunano in unità. Ciò non dimenticando l’essenziale vocazione giocosa e gioiosa del fare artistico: perché non bisogna mai scordare, né reprimere l’attitudine al gioco, coltivare quel fanciullo interiore ancor più determinante per l’artefice e tramite il quale egli si nutre e alimenta le sue realizzazioni. Talvolta queste opere ci appaiono infatti simili a traduzioni, traslati, componenti di un codice visivo personale e singolare, smembramenti, parzialmente assimilati, accorpati di enti, che una madre arcaica, sapiente e amorevole volesse trasferirci per renderceli maggiormente comprensibili, e che divengono poi cibo silente per la nostra mente e il nostro cuore.
11 marzo 2024
Impressioni, emozioni, trasposizioni: sono queste le costanti sintattiche che sostanziano di sé lo sviluppo insieme meditativo ed istintivo dell’opera di Sandra Zeugna. Meditativo allorché in potenza, istintivo nel suo dipanarsi performativo nel corso dell’esecuzione del dipinto. Una pittura che trascorre fra Espressionismo Astratto, Spazialismo, Neofigurativismo, con un’allusione all’Astrazione lirica di Kandinskij, nella musicalità ritornante di timbri ricorrenti, che generano evocazioni visive. Grazie alle dimensioni per la maggior parte ampie delle tele, in queste pitture si può sostare e immergervi l’attenzione, e il dubbio che essa genera viene trasformato quasi immediatamente in riflessione da parte dell’osservatore, assorbimento dei sensi e dell’intelletto nel ductus pittorico, e conseguente perdita delle coordinate che ci ancorano alla realtà circostante. Un processo che non può prescindere da connotati drammatici: abbiamo talora la sensazione di trovarci di fronte ad una sorta di paesaggio post-atomico, che ci rimanda stralci di membra, parvenze di animali, fiori e piante che paiono dilaniati, parimenti che se l’illusorietà del velo di Maya si fosse improvvisamente frantumata di fronte ai nostri occhi come fatta di fragile cristallo, o di specchio. Nulla può prescindere dalla lacerazione che implica un percorso di consapevolezza, ma questa consapevolezza è altresì dettata e instradata da bagliori improvvisi: è la luce a dirigere il tutto e a porre in atto le premesse che danno poi vita a quelle linee direttrici ricorrenti che si dipartono dai nuclei espressivi posti in essere. Questi ultimi originano lo scenario il quale si dipana davanti ai nostri occhi e che ci sprona ad interrogarci sugli argomenti che porta, essenzialmente riferiti alla vita dell’uomo e al suo essere comprimario, e non reggente, nel meraviglioso teatro del creato. L’amore e il rispetto per la natura sono strettamente connessi alla nostra sussistenza, e di questo sentimento principe nel suo immaginario poetico l’artista vuole farci partecipi, e ad esso sensibilizzarci, oltre che porre l’accento sulla crisi sociale che attanaglia i nostri giorni. Una modalità stilistica che riflette un fine espressivo di incisivo impatto sulla sensibilità di chi guarda, poiché coinvolge la memoria e l’inconscio, gli archetipi, l’intuizione trascendente propria in maniera peculiare alla sensibilità artistica, ma anche e soprattutto la nostalgia verso un mondo che rischia di perdersi.
12 marzo 2024
L’artista, come i suoi mezzi pratici, è essenzialmente strumento. Uno strumento che parte per necessità dal suo essere creatura umana, ma che poi ineluttabilmente si traduce e veicola significati, simboli, emozioni, per renderli patrimonio universale, capace di chiarificare, far diventare leggibili e pertanto pacificare, istanze ed intuizioni, germi di esperienze radicate nel profondo. Avvicinarsi ai dipinti di Sandra Zeugna è sempre un evento sorprendente, spiazzante e confortante al contempo: è evidente che questi lavori, per il loro stesso essere e dipanarsi in una continuità quasi da messaggio medianico, scrittura automatica, in un dinamismo incessante, cadenzato e danzante, abbiano a che fare con le parti più recondite nascoste in noi e oltre noi; è per questo che ci attirano all’interno, risucchiandoci nell’andamento ritmico e reiterato del segno, il quale costruisce grafemi riconoscibili, alternandoli e ponendoli in parallelo con lo stendersi del colore più o meno rappreso, che allude a forme più o meno accennate, più o meno familiari. E’ come se la pittrice, in maniera spontanea e innata ma comunque mediata da una consolidata consapevolezza della sua scelta di stile, intendesse suggerire visioni, ma soprattutto insinuare in noi la negazione dell’eccessiva e categorica identificazione di qualsiasi cosa nel mondo, dissolvendola in linea e colore, suggerendo infinite e indefinite variazioni e pertanto negando la convenzione stessa dello spazio e del tempo, e della stessa profondità prospettica che va a generare. La memoria, l’inconscio, sprazzi di vite precedenti si diffondono sulla superficie della tela come in una composizione musicale, avendo il colore, secondo quanto teorizzato da Vassilij Kandinskij ad inizio Ottocento, qualità evocative del suono, che richiamano impressioni recondite all’interno di ognuno. Lo svincolarsi dalle costrizioni troppo nette del contorno è condizione propria a chi ha interiorizzato fortemente il contatto con il mondo sensibile, e con quella proiezione soggettiva di esso che giustifica ogni realtà: la lacerazione dei parametri precostituiti, intesa quale sperimentazione e non necessariamente dolore, significa aprirsi ad ulteriori ed indeterminate possibilità, ed è questa apertura la caratteristica probabilmente più affascinante della pittura di Sandra Zeugna. L’amore per la natura e per il suo ambiente d’origine è inoltre cominciamento imprescindibile di tutto: da esso prende le mosse la sua ricerca artistica, e parallelamente ad esso il suo amore per il disegno e la pittura: colore e segno scorrono parallelamente, talora s’incrociano e s’intersecano, mai vincolandosi reciprocamente: è un richiamo introiettato a riconoscere, far affiorare in superficie e praticare quell’imprescindibile dialogo, interscambio e mutua origine fra uomo e natura.
30 marzo 2024 - Presentazione mostra "Riverberante Dialogo"
Avvicinandosi alle pitture di Sandra Zeugna, il primo sentimento che ci investe è di disorientamento, di fronte ad un così palese sconvolgimento di tutti i canoni visivi e interpretativi della realtà, di tutte quelle convenzioni sociali, culturali, personali, che ci permettono di individuare come riconoscibili le cose, gli enti che costituiscono la prospettiva soggettiva di ciascun individuo, al di là di ogni pretesa di universalità, pur nei presupposti che le accomunano. Il solo modo per “leggere” queste pitture, entrare dentro la loro dimensione che in maniera così avvolgente ci accoglie trovandoci di fronte ad esse, è operare come l’artista opera, ovvero renderci partecipi di una “sospensione del giudizio”, che permette all’emozione e alla percezione di vagare libere sulla superficie del dipinto, rompendo gli argini di schemi mentali troppo rigidi, per riconoscervi tanto la visione introspettiva che includono, quanto gli stralci di realtà precostituita che ne rappresentano le premesse e ricercarvi la comprensione dell’ineffabile. La natura, il mare e le loro meraviglie costituiscono gli antecedenti per un viaggio interiore che fa della conoscenza il suo presupposto fondante, del disegno la sua base necessaria: è da questo che l’artista parte per rinnovare il suo approccio al creato, novello fattore che riproduce il mondo seguendo premesse intuitive, una facoltà che in tempi antichissimi era considerata quale vaticinante, e pertanto folle e pericolosa, in quanto sovvertiva l’ordine stabilito nelle comunità. Il termine “Artifex”, da cui poi artista, nell’antico greco e latino stava a significare il praticante di una “ars”, ovvero una attività essenzialmente fisica, meccanica, manuale, tecnica, svincolata da qualsivoglia componente intellettuale, vocabolo utilizzato anche per indicare il “faber”, ovvero “colui che ha a che fare con materia dura”. Trovare dei nessi con l’opera della pittrice è consequenziale: “materia dura” è il segno, che si spezza e frantuma il tangibile, dissolvendo gli oggetti in una miriade di accorpamenti, nuclei espressivi singoli o plurimi, i quali stimolano la nostra immaginazione a ricondurli a fattezze riconoscibili, sempre comunque parziali, lacerate, come frammenti di sogni, sembianti che tentano di affiorare dall’inconscio. Il fabbro è anch’egli artefice, e nella sua opera agiscono da comprimari i quattro elementi: acqua, terra fuoco, aria, concorrono alla generazione delle nuove entità, a cui lo spettatore è chiamato a collaborare, realizzando quella comunicazione che è premessa principale del fare arte, e che lo rende comprimario, e pertanto parte del lavoro creativo. L’artista è perciò colui che opera con gli elementi, scompigliandoli e rimescolandoli secondo la sua innata vocazione alchemica, donando agli uomini suoi coprotagonisti, il frutto della sua opera di palingenesi, realizzata tramite il fuoco creatore e la saggezza. Il “fabbro”, mitologico vulcano, si pone necessariamente a cavallo fra due mondi, con la sua doppia zoppità, e porta il fuoco sacro che rivela l’unione degli opposti (Ares e Afrodite), generando Armonia. Il fuoco ha una natura terrena, per dare necessario corpo all’essenza eterea delle cose, e spirituale, e da esso si genera il mondo. Vulcano è da sempre considerato infatti il padre degli alchimisti e degli ermetisti. Il fuoco sacro unisce in sé terra e acqua, essendo il dio, nella sua doppia caduta, sia atterrato che ammarato, e Vulcano, con la sua rete che imbriglia Ares e Afrodite, rende manifesto ciò che è celato agli occhi degli uomini. Questo processo creativo è istintivo, svincolato da canoni compositivi, come nella tradizione del linguaggio informale della metà del ‘900, ma non esclude, nel caso specifico della nostra artista in particolare, una profonda conoscenza grafica, che prelude a quanto suddetto, e si collega a motivazioni ambientaliste e sociali, lasciando rinvenire, nei brani di corpi e gli accenni di forme naturali che ci pare di ravvisare nella parte segnica dei lavori, un’esigenza di riconnettere l’uomo al suo ambiente, ai cui ritmi e cicli è intimamente legato. A presiedere e sovrastare questo intero processo sembra essere la luce, che è talora diffusa e stemperata, avvolgente, talora s’irradia da un punto, come un bagliore improvviso, un lampo, un’epifania, che arrivi a rompere la quiete della stasi e a portare chiarezza all’intelletto, una luce superiore e rivelatrice. Le linee direttrici del movimento s’intersecano e avvolgono, originando strutture energetiche, che sono al contempo aperture, di stampo spazialista, su ambiti sottostanti indeterminati e insondabili, ma di cui ci viene prefigurata l’esistenza. La pittrice si muove altresì, dipanando il suo ideale filo sulla tela, come in un movimento di danza e ci guida a seguire itinerari di riconoscimento, alternando ritmicamente linea e colore, più o meno dissolvente o rappreso, che talora si affianca alla prima procedendo parallelamente, talora s’incontra con essa immergendovisi. La gamma cromatica prediletta riprende la metafora degli elementi: gli azzurri pallidi per l’acqua, il malva acceso, il verde veronese e le terre, i grigi e i bianchi trasparenti e aerei. La significanza simbolica del colore timbrico richiama tranquillità assorta e meditativa, profondità introspettiva, spiritualità e slancio dinamico e le pacate pause dei toni più chiari, fanno da contrappunto alla partitura musicale, secondo la lezione di Kandinskij. Dal movimento che nasce dall’accostamento dei contrari si genera il reale, e questo l’autrice sembra volercelo trasmettere con grande incisività. La pittura di Sandra Zeugna veicola un messaggio molto chiaro sulla necessità di mettere in dubbio il già noto per addentrarsi in un’infinito imponderabile di possibilità, scardinando preconcetti, opinioni e teorie preesistenti, per rifondare quanto ci circonda, incitandoci a liberarlo da veli e orpelli che ci impediscono di intuirne la più intima essenza.