Il linguaggio informale
Fra le preziose annotazioni di Gillo Dorfles, critico attento e lucidissimo nell’analisi delle oscillazioni del gusto estetico, vi era un puntuale riferimento alla doppia possibilità espressiva della pittura, rispettivamente in ‘linguaggio logico’ e ‘linguaggio libero’. Una distinzione senz’altro condivisibile che, semplificando, stabilisce un dato di fatto inerente il concepimento di un’opera. Ovvero che la logica, intesa nel significato comune, è subordinata alla realtà oggettiva, al dato puramente visibile di una costruzione razionale. Viceversa, l’artista che si esprime liberamente, non sente obbligo alcuno verso nessun dogma o parametro tecnico prestabilito che non sia il confronto con se stesso, con un mondo interiore che non ha paragoni, specchio di una sommatoria di infinite ragioni e percezioni soggettive che, se vogliamo, potremmo ricondurre ad una logica ‘diversa’, non riconoscibile direttamente, e dunque astratta. Ed è proprio quest’ultima considerazione ad affermare il concetto di ‘informalità’, ovvero di arte svincolata dalla premeditazione formale. Tuttavia, questa scelta non esclude la natura progettuale del linguaggio libero, anzi. Sarebbe un errore non da poco ritenere la casualità compositiva la vera protagonista, escludendo così la partecipazione attiva dell’artista. Più verosimilmente, il linguaggio informale attinge a risorse che prescindono dal dato reale oggettivo e, quand’anche la realtà manifesta sia vagamente riferibile, essa non è il soggetto principale dell’indagine. Infatti, la dimensione del visibile è solo una piccola parte di una Realtà vera, ben più complessa di quanto i nostri sensi possono restituire attraverso le percezioni fisiche. La dimensione inconscia, ad esempio, è uno di quei territori ove l’informalità trova una fertile espansione. Molto spesso, se dietro una composizione non figurativa la nostra ragione non trova rassicurazioni con il logico, con il palese, è proprio all’Inconscio – inteso come ‘dimensione altra’ dell’Essere – che bisogna riferirsi per ricercare le recondite chiavi interpretative. Del resto, non è un mistero che l’Inconscio stesso sia strutturato con un codice, un proprio linguaggio che procede attraverso meccanismi di causa-effetto per nulla casuali. Il ‘discorso dell’Altro’, come sosteneva Jacques Lacan che, come tale, necessita di ponderata e fattiva attenzione in quanto portatore di verità spesso ignorate dal soggetto cosciente. Altre volte la pittura ‘libera’ traduce l’esperienza interiore dell’artista, la sua personalissima interpretazione del mondo sia nella dimensione fisica che metafisica. Per certi versi, la pittura anticonvenzionale, distante dall’interpretazione dettata dal criterio della pura visibilità con la lettura tradizionale dell’opera, può offrirci notevoli spunti d’indagine e molteplici chiavi di lettura. Ogni composizione d’arte – riconosciuta come tale – racconta molto, moltissimo di chi l’ha concepita e realizzata, e spesso non sono necessarie le relative spiegazioni dirette, tutt’altro. Lo sforzo dello svelare ad ogni costo costringe il fruitore (o l’esecutore stesso!) ad indossare la ‘maschera’ della sua personalità o del suo personaggio. I saggi cinesi sostenevano che le parole sovente nascondono le cose. Questo perché le parole contengono in sé un limite espressivo, sono comunque filtrate da una serie di infrastrutture culturali, sociali, educative, delle quali chiunque guardi è naturalmente permeato. L’opera invece no, è in quanto tale. Essa si autodetermina, parla da sé e di per sé, e non necessita di avvocati difensori o abili oratori che ne proclamino il valore o ne certifichino l’esistenza in vita. La lettura delle opere di Sandra Zeugna parte proprio da questo presupposto. Da un silenzio attivo che progressivamente si espande verso un significato incontrovertibile, diremmo naturale e necessario, dove convergono tutti i punti di un’indagine non solo artistica ma anche di una parte significativa dell’esistenza. Le parole, semmai richiamate a utile sostegno all’interpretazione, seguiranno. Ma seguiranno – quale corollario eventuale – dopo il necessario silenzio iniziale. D’altronde, l’arte autentica deve anzitutto colpire e coinvolgere uno stato di coscienza (ad esempio emozionale o mentale) al primo sguardo, come una folgore che illumina il cielo in una lunga notte, per procedere poi verso la ricerca delle chiavi interpretative.
L’incontro con Zigaina
L’ultima Zeugna, quella della pittura ancor più fresca, ‘umida’ e vitale come rugiada, è caratterizzata dalla ricomposizione dei lacerti e, se vogliamo, del ritorno. Il ritorno nella sua laguna tanto amata, quella di Grado, nell’ampio semicerchio del Golfo. Tutto appare ancor più pacificato ed armonico. Essenza ed apparenza paiono dialogare nuovamente senza incongruenza alcuna. Fanno capolino i colori verdi, per lei tanto inconsueti, nelle sue varianti, dal malva al veronese, e il terra di Siena. Quel realismo di cui stentavamo a trovare traccia, qui semina indizi e dispensa riferimenti. Se prima tutto poteva apparire onirico e svaporante, adesso ci troviamo nel ‘qui e ora’, dentro quell’attimo che racchiude il segreto della vita terrena, finalmente libera dal peso del passato e dalle illusioni del futuro. Quel presente che si colloca oltre il tempo, e la cui piena conquista rende meravigliosamente liberi e vitali. E’ il periodo in cui accade un episodio fondante nella vita dell’artista. Un incontro. Auspicato per anni ma sempre rimandato come fosse un qualcosa di improbabile, forse impossibile da realizzarsi. Un incontro ineluttabile con una stella polare di un firmamento artistico contemporaneo, un caposcuola ed un uomo che ha visto passare accanto a sé la grande storia, oltre che dell’arte, anche del cinema e della letteratura: Giuseppe Zigaina. Sì, proprio Lui, storico collaboratore del grande Pasolini, nonché attore di riferimento nel suo ‘Decameron’. Doveva, anzi ‘voleva’ accadere questo momento, da diverso tempo. Spesso la vita agisce con dinamiche sue, forse per noi imperscrutabili, ma con un proprio disegno, una direzione. E’ come se qualcuno o qualcosa sapesse davvero ciò che è meglio per noi, aldilà delle nostre aspettative. Accadde il giorno del compleanno del maestro, per la precisione il suo ottantesimo. Lui guardò Sandra. Si riconobbero all’istante. Un abbraccio di luce, rare parole, tanti sguardi nel silenzio eloquente. Poi, la timidezza ed il riguardo di lei, fecero scorrere altri dieci anni. Si persero ma si ritrovarono. E fu il momento giusto, l’apice di una storia indimenticabile pregna di preziosi ed affettuosi consigli, più che ad un’allieva, ad una figlia. Il maestro aveva intuito una grande potenzialità, un talento che doveva essere coltivato con perseveranza. Le suggerisce di andare oltre ogni concetto o, peggio, preconcetto, e di non tener conto di alcun giudizio che non sia quello di se stessa. E forse neanche. Lui, che aveva frequentato figure quasi mitologiche come Pasolini e la Callas, sapeva bene cosa significasse procedere con coraggio nella vita a dispetto delle avversità. ‘Quello che sono è quello che eri e sei tu’, le dirà un giorno. Per Zigaina, questa pittrice poteva rappresentare, ora più che mai, la continuazione di una storia infinita, una narrazione meravigliosa di terra e di cielo, proprio in una fase in cui la sua stessa esistenza stava volgendo al termine per un processo biologico inevitabile. Quelle sospensioni dipinte dovevano continuare, così come quei tratti grafici affermativi, anzi definitivi. Quella maniera così anomala ed anticonvenzionale di rappresentare un mondo ‘altro’, invisibile ai sensi ma non allo sguardo dell’anima, doveva avere necessariamente un seguito, non doveva andare perduta nel dimenticatoio del tempo crudele. E così fu. Pensando all’amico Pasolini, in uno dei loro incontri in studio, le disse: ‘Scrivo di me perché farà del bene a me, ma anche a Lui’. Fu un implicito invito a proseguire, esattamente come aveva fatto Zigaina, con l’entusiasmo e un impegno sinceri. Analogamente, Sandra Zeugna dipingendo per sé farà del bene anche al maestro che ora ci ha lasciato. Ecco, dopo quelle parole scolpite in un pezzo di cielo, non si può davvero aggiungere altro…